L’architetto Luciano Marchetti, ideatore del docufilm, racconta la sua lunga esperienza con Mario Ridolfi.
In occasione della proiezione del documentario “L’uovo di Ridolfi” del 30 aprile a Terni abbiamo intervistato l’architetto Luciano Marchetti, ideatore del film sul collega Mario Ridolfi e a lungo suo collaboratore.
Come è nata l’idea di questo documentario e quali sono gli obiettivi che vi siete posti quando avete deciso di realizzarlo?
In quanto presidente dell’Associazione Culturale delle opere di Mario Ridolfi, Volfango Frankl, Domenico Malagricci, presieduta in passato anche dallo stesso Frankl, che ha lavorato con Ridolfi per oltre 50 anni, ho pensato che fosse il momento di raccontare la mia esperienza di collaboratore di Ridolfi, a mia volta per 35 anni. Con lui, Frankl e Malagricci ho condiviso infatti diversi incarichi.
Il film racconta sia la vita professionale dei tre architetti, sia la storia architettonica di Terni nel XX secolo. Inoltre, è un’occasione per ammirare i disegni dei tre, che in certi casi possiamo considerare vere e proprie opere d’arte che vengono studiate all’università. In più, una serie di testimonianze di noti architetti italiani che raccontano dal loro punto di vista questi protagonisti della storia della città. Siamo molto soddisfatti della partecipazione da parte dei cittadini di Terni che hanno apprezzato il docufilm e capito fin da subito che questa opera resterà un pezzo della cultura della nostra città.
Lei ha curato il documentario, per quanto riguarda tutta la parte di ricerca. Conosceva Ridolfi? Ci può raccontare qualche aneddoto su di lui?
Ridolfi, nonostante la sua notorietà, riconosceva l’estrema importanza del gruppo con Frankl e Malagricci, senza i quali – diceva – lui non sarebbe stato così famoso.
Il mio ricordo è di un gruppo affiatato che amava il proprio lavoro, attento a qualsiasi dettaglio, a cominciare dall’importanza dei materiali.
Oggi l’architettura spesso si ispira anche al passato. Quali sono gli elementi che rendono l’architettura di Ridolfi “intramontabile”?
Grazie allo studio dell’architettura tradizionale, Borromini in primis, possiamo ritrovare diverse influenze negli elementi architettonici del gruppo. Ridolfi era romano, conosceva molto bene l’architettura della capitale ed era figlio di un decoratore, Frankl arrivava dalla Germania dove all’università aveva sperimentato diverse tipologie di lavori artigiani ed era a sua volta figlio di uno storico medioevale esperto di architettura gotica. Gli edifici progettati da loro negli anni ‘60 sono ancora perfetti, l’unico elemento da restaurare di tanto in tanto è il cemento armato.
Per quanto riguarda Terni, invece, come è rappresentata all’interno del docufilm? Viene un po’ “riscoperta”? Terni è particolare perché non ha avuto una grande storia artistica come tante altre città italiane. Emerge come città industriale verso la fine del 1800, un polo importante per tutta Italia. Di conseguenza, la crescita urbanistica della città avviene in quel periodo: un piano regolatore nel 1875 a cardi e decumani, poi un altro sulla città giardino nel primo Dopoguerra e uno più consistente successivo alla Seconda Guerra Mondiale che vede la distruzione della città per l’80%. Il piano di ricostruzione vede impegnati numerosi architetti piuttosto noti e di fatto plasma l’identità urbanistica odierna di Terni. Per dirla con il grande Paolo Portoghesi, autore di due monografie su Ridolfi a Terni negli anni ’70: “Dalle ceneri di una città distrutta, sono nati i fiori dell’architettura”. E infatti, Terni è una città da riscoprire anche attraverso tour legati all’architettura.
Con questo film parliamo soprattutto ai giovani: è un invito per loro a creare.